or volano al beato Adige in riva,
e tra i penduli salci, ove s’estinse 345l’armonia di Catullo, un molle accordo
par che ai lor baci tuttavia risponda.
Poi dei piani lombardi e delle valli
cercarono il sereno aere, e la ricca
popolosa cittá. Ma il gelsomino 350sotto i vampi del sol, senza una fresca
ala di vento che lo irrori, a terra
debbe un giorno languir! Sai tu le gioie
amare e forti della bella figlia
del Caramano, nei dipinti arémi? 355Oggi il fervido sir preme sul petto:
pensieroso diman vede il monarca,
e sente il peso delle sue catene.
Un dí, regno sull’alma. Indi è procella
di tetro amor, di voluttá, di sdegno, 360di fastidio, d’oblio, di rinascenti
gioie, con vano ritornar sui tempi
che piú non sono. Di Leoni è fatto
nebbioso il cor. Qualche benigno accento,
qualche cura gentil, qualche soave 365sorriso vi splendea, come una queta
ma fuggitiva luce. Il resto è lampo,
che vien coll’oragano a illuminarne
gli schianti e la ruina. O Edmenegarda,
che cor fu il tuo, quell’amator sí umano 370e caldo e mansueto or lo veggendo
cosí diverso! Gli favella? È un dono
inaspettato, s’ei la man le stringe,
o sorridendo le ricambia il detto.