Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu/67

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canto quinto 61

55che nessun te li tolga. Il lutto e l’onta
nella mia casa hai seminato; or cogli,
cogli, ché è tuo, di quella dura pianta
il durissimo frutto. Oh pienamente
vendicato son io; ma troppo, ahi! costa
60quest’amara vendetta. E chi sa come,
come, adesso, ai fuggiti anni ella pensa!
Quante lacrime sparge; ed una mano
non aver che le terga, ed una voce
non udir che la chiami e la consoli!
65Povera infortunata! Io, che dovrei
maledirti, obliarti, io sento il peso
de’ tuoi dolori, io solo! Oh questo pianto,
che frenai da gran tempo, uopo è che scorra.
Cosi bastasse! —
E in furiosi e torvi
70pensamenti quel suo spirito errava
dietro al vil fuggitivo; ed arrivarlo
avria voluto, e dirgli: — Hai lacerato
la vita mia; quel vago fior m’hai tolto,
l’hai lasciato languir; perfido! rendi
75conto col sangue. —
E, l’aspre alle dolenti
cose mescendo, rasciugava gli occhi,
che tornavan per forza a inumidirsi,
e divorava i fremiti, e in disparte
torceva il capo. E que’ suoi due angioletti,
80quasi con senso di pietá celeste,
senza parole, gli piangean da lato.
     Ma una piú tetra e desolata stanza,
e ben diversa dal palagio antico,
d’ombre s’avvolge, e da quell’ombre un cupo
85gemito insorge, e in una febbre ardente
trangoscia un core che morir non puote.
E tra due mani discarnate e stanche
langue il lavoro, sovra cui s’incurva
la debil vita a guadagnarsi il pane.