Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. I, 1916 – BEIC 1901289.djvu/75

Da Wikisource.

canto quinto 69

     Ahi! la viola del pensier, funesto
vaticinio è di mali.
Una pedata
ode; si volge; un sigillato foglio
le si reca; lo guarda, impallidisce;
325la man d’Arrigo lo vergò; tremante
l’apre e vi legge... Misera! dagli occhi
quante lacrime ancor ti gronderanno!
     «Edmenegarda! I tuoi miseri falli
rimetta Iddio! Ma non sperar parole
330di perdono da me. Tu mi rapisti
tutte le gioie; maledir m’hai fatto
questa tua bella Italia, ov’io sperava
viver lieto e morir; privi di madre
tu rendesti i miei figli. Alla natale
335Inghilterra io mi reco a seppellirvi
il dolor, se m’è dato; e pensa come
lieta avrò l’alma nell’udir taluno
che di te mi dimandi. Ahi! sará duro
il dover dirgli: — La mia donna è morta. —
340E quando il guardo io volgerò dagli erti
miei colli al sito ove si spande questa
terribil terra, imagina se gli occhi
avrò giocondi! Oh sí, fibra per fibra
tu m’hai lacero il core, e piú non posso
345parlar di pace. Ma per tutti un’ora,
Edmenegarda, arriva; ed io la sento
piú di tutti vicina. All’appressarsi
di quell’ora di Dio, fuggon dall’alma
i corrucci e le offese, e bisognosi
350di perdono siam tutti. O Edmenegarda,
spera in quell’ora. Io non dimando al cielo
che d’obliar, di crescermi vicini
sempre i miei figli, e sostenere in pace
le agonie della morte... e perdonarti!».
     355Di man le cadde il foglio; alla parete