Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/283

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entrar Tissandro e all’ukime faville
scaldar le mani e sulle secche foglie
150sdraiar le membra e a sé chiamarla. In piedi
fu la sopita: non aperse gli occhi
nel breve istante, e, sorridendo, in braccio
si trovò di Peléo scevra di colpa
e gloriosa del divino amplesso.
155Cosí nascesti, Antimaco. —
Un respiro
largamente esalò dal gran torace
il pastor di Larissa, e alla sua tenda
fé’ ritorno e ai compagni.
E Achille intanto
fra sé pensava: — Nelle selve d’Ida,
160mentre il centauro di precetti austeri
m’erudiva io spirto, e nelle membra
pargolette io sentia la sacra fiamma
di Marte, e il vento, che la quercia educa,
mi sferzava i capelli, e la mia freccia
165giungea dell’or.se sibilando al core,
il vecchio Euforbo, con Peléo seduto
nel portical, dalia paterna bocca
udia questi racconti, e un sottil riso
li accompagnava, e tratto tratto un nappo
170del rubin che invermiglia i nostri colli.
E il vecchio Euforbo, tra faceto e grave,
a me li ripetea, quando in Larissa
egli vide cascar l’ultime nevi;
ma trillar non udí la lodoletta
175sui fioriti maggesi. 11 buon famiglio
tolse i commiati dalla nostra casa
nel suo funereo di. Sovra il mio capo
chiamò propizi i numi, e incontrò l’ora
della Parca sereno: e il suo Melampo,
180dolce compagno della varia vita,
tre di corcossi sulla sorda fossa,