Pagina:Prati, Giovanni – Poesie varie, Vol. II, 1916 – BEIC 1901920.djvu/294

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3
L’han pur veduta la testa loro
l’altre del Lazio cittá reine!
e tu, gran Madre, del proprio alloro
tu ne hai vestito l’augusto crine.
Ma la mia terra negletta e sola
geme nell’ombra: chi la consola?
dai ceppi amari chi la disgrava?
chi l’aura e il lume rende alla schiava?
4
Eppur, quand’era peccato e scorno
stringer la mano degli stranieri,
coi prodi figli d’Italia, un giorno
sorsero i figli de’miei manieri;
e ai patrii greppi gentil lavacro
diedero il sangue piú puro e sacro.
E il sa Rezzecca, sulle cui glebe
fiori di sangue brucan le zebe.
5
Umile è certo la terra nostra:
archi, colonne, templi non vanta.
Ma con orgoglio c’è chi la mostra,
ma con orgoglio c’è chi la canta.
Terra d’onesti, terra di prodi,
cerca giustizie, non cerca lodi.
Ti chiede, o Italia, se madre sei,
che il cor ti morda, pensando a lei.
6
Ella il tuo sangue" dagli avi assume,
ella negli occhi porta il tuo raggio:
ella s’informa del tuo costume,
pensa e favella col tuo linguaggio.
Arde di sdegno, piange d’amore,
parte divina del tuo gran core!
Qual colpa è dunque se non si noma
Milan, Fiorenza, Napoli o Roma?