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Pagina:Prato - Il protezionismo operaio - 1910.pdf/140

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gli immigranti inviassero in patria l’intero loro guadagno, il paese che li ospita conserverebbe tuttavia un segnalato vantaggio, com- prando della forza di lavoro già formata, le cui spese di alleva- mento e di educazione, fino all’età produttiva, furono sopportate da altri (1).

Ma determina per contro un’impressione incontestabile sull’opi- nione pubblica il misfatto ben più grave che lor si addebita di de- primere con una concorrenza insostenibile i salari e il tenor di vita del proletariato locale. Come i gialli nell’Ovest, cosi nel resto del- l'unione questi bianchi hanno a poco a poco scacciati i nativi dai me- stieri più umili e richiedenti minor abilità tecnica, instaurandovi up livello di mercedi inaccettabile da uomini civili.

Gli operai americani, osserva I. R. Commons, anche cogli scioperi non ottennero mai grandi vantaggi, perche, o furono sostituiti dal la- voro estraneo o videro gli stranieri approfittare del benefizio da essi ottenuto a costo di grandi sacrifici. Con una unanimità non mai

vista prima, le unioni entrarono nel campo. politico ed ottennero le



  1. (1) Cfr., in proposito, i diligenti calcoli di C. F. Sprare, “ What America pays Europe for immigrant labor , in North-American review, gennaio 1908. La questione del costo di produzione dell’emigrante fu ampiamente dibattuta in Italia da parecchi dei più autorevoli cultori della scienza statistica, la maggior parte dei quali conclude che l’emigrazione, pur essendo un fenomeno inevitabile nelle condizioni attuali del nostro paese, rappresenta per noi, in senso assoluto, una notevole sottrazione di ricchezza. Cfr., per una lucida esposizione di tale punto di vista: E. Barong, Prin- cipt di economia politica, vol. I. Roma, 1908, pag. 65 e segg. Tra le testimonianze americane in tal senso troviamo riportato, in un recente rapporto dell’ambasciata di Washington, un brano caratteristico di un editorial, comparso in uno dei più diffusi e popolari quotidiani di New York: “ Falsamente viene proclamato dagli ignoranti che l’America é sfruttata perché il lavoratore italiano, ad esempio, viene qui, lavora, mette assieme un migliaio di dollari e poi ritorna in Italia. Ben venuti gli italiani e buon pro lor faccia il peculio sudato. Magari fosse di cinque mila, invece che di mille. Per ogni dollaro che l’italiano porta in Italia, egli lascia in America non meno di dieci dollari come frutto del suo onesto lavoro... Tutti questi lavoratori, affluenti dall’antico continente, danno all’America la loro gioventù ed energia, e tutti i migliori elementi di attività, arditezza, intelligenza accumulati attraverso secoli di evoluzione nelle terre native. L’America é la grande debitrice: essa é in debito col mondo intiero. L’America é costituita delle migliori energie delle antiche razze europee. Dobbiamo aver gratitudine e non meschina invidia ,. Pi autorevolmente sosteneva, di fronte al Congresso, la stessa tesi l’on. Bourke Cockran: “ Anche se l’immigrante inviasse od asportasse ogni dollaro da lui guada- gnato, lascerebbe agli Stati Uniti la ricchezza che sta a rappresentare il profitto fatto col suo lavoro. Cid che egli manda o porta al suo paese non costa nulla a nessuno ed é soltanto il residuo di ciò che gli fu lasciato dopo che egli ebbe con- tribuito al vantaggio di tutti coll’accrescere il quantitativo di ricchezza dell’intera comunità ,. Cfr. Hmigrazione e colonie, vol. III, parte 3° (1909), pag. 94 e segg., 140.