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Pagina:Prato - Il protezionismo operaio - 1910.pdf/220

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giata dallo Stato, il quale non tardò ad estendere l’applicazione del geniale principio, acconsentendo a pagare per certe merci prezzi assai superiori ai correnti, purché i fornitori trasmettessero ai loro operai, sotto forma di aumentati salari, il benefizio di tale liberalità (cosi il governo di Vittoria coi proprietari di miniere di carbone).

Due fonti di provento alimentarono finora questi curiosi metodi amministrativi: imposte dirette a tipo fortemente progressivo, ma in compenso comportanti larghissime esclusioni (non si incontra in media più di un contribuente per 8 proprietari); e il ricorso incessante al debito verso l’estero, fino a giungere ad una proporzione di aggravio pro capita assolutamente fantastica e che non ha esempi in alcuna nazione civile. L’imprevidenza finanziaria era messa per tal modo al servizio della coltivazione intensiva dell’infingardaggine, col risultato di sottrarre sempre più all’industria rurale, cui si era contemporaneamente vietato di approvvigionarsi al di fuori, le forze di lavoro indispensabili al suo sviluppo, moltiplicando al tempo stesso, in ogni ramo d’un organismo statale di giorno in giorno più farraginoso, le falangi di parassiti, alla cui operosità male impiegata non fa riscontro un corrispondente rendimento di efficace produzione.

D’un sistema cosi schiettamente anti-economico non tardaron però ad emergere i frutti. Gli sforzi delle statistiche, compilate da funzionari la carica e lo stipendio dei quali son connessi alla continuazione del sistema, non riescon ormai più a dissimulare il disagio profondo in cui si dibattono le industrie, tenute artificialmente in vita dall’inaudito grado di protezione doganale, ma tecnicamente arretratissime (per la guerra bandita dalle unioni ai perfezionamenti di macchinario, colla complicità dello Stato, che, per compiacerle, si astiene persino da trasformare l’attrezzamento ancor rudimentale dei grandi porti), e d’altronde impossibilitate di estender la vendita all’interno, per la decadenza economica dei distretti agricoli, che costituirebbero, sé prosperi, un ottimo mercato, e incapaci di lottare sul mercato internazionale, per il costo di produzione elevatissimo, dovuto agli stravaganti salari ed al complesso d’oneri opprimenti accumulati sulle intraprese.

Come meravigliare se, in tali condizioni, ogni attività sembra morta, tranne la dove si spende il provento dei debiti fatti dagli stati o dai municipi; se l’agricoltura, fondamentale ricchezza del paese, per difetto di braccia, precipitosamente decade; se i giacimenti auriferi di più costoso sfruttamento progressivamente si abbandonano, se le industrie cittadine deperiscono (tranne forse a Melbourne, che trasse profitto della libertà commerciale instaurata tra le colonie federate), se il marasma e l'apatia trionfano?