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Pagina:Prato - Il protezionismo operaio - 1910.pdf/221

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È già da parecchi anni che gli organi più autorevoli della vita economica mondiale denunziano il fallimento di tutti i tentativi di estender gli affari in Australasia. Non si bandisce impunemente la guerra all’iniziativa privata, combattendola con mille vessazioni e colla concorrenza di imprese governative condotte con criteri antieconomici. Nè, cosi operando,c’è a stupire se il capitale (fatto nuovo in una società coloniale) incomincia ad emigrare, o rimane provvisoriamente accantonato in impieghi temporanei semi-improduttivi; come prova l’abassarsi del saggio dell’interesse nei depositi a breve scadenza, ripetutamente rilevato dall’Economist come indice inquietante della depressione dello spirito di intrapresa per il difetto di uno degli elementi fondamentali della produzione e per i timori suscitati dall’indirizzo rovinoso della legislazione.

Di cosi segnalati benefizi recati all’economia generale si avvantaggiò almeno la classe a pro della quale si era proclamato, in un continente quasi completamente deserto, lo strabiliante principio dell’ « Australia agli Australiani? ».

Tutto concorre a farcene fortemente dubitare.

L’operaio sindacato, sfrattando i concorrenti estranei, ha voluto riservarsi tutti i lavori; ignorando la legge feconda della divisione del lavoro, della specializzazione delle occupazioni, si è abbassato a funzioni d’ordine inferiore, che sarebbero state disimpegnate, a costo infinitamente più basso, dagli stranieri a cui si chiudevan le porte; un numero enorme di nativi si son dedicati ad opere non richiedenti alcuna intelligenza, alcuna attitudine, alcuna nozione tecnica; e ciò tanto più in quanto si contrastò con ogni potere l’introduzione del macchinismo. Si volle organizzare un’esistenza di infingardi per la maggioranza degli operai, molti dei quali erano addetti a lavori privi d’ogni utilità pratica. E gli effetti materiali e morali non tardarono a manifestarsi. La fuga dalle campagne e il licenziamento, per parte degli industriali, della mano d’opera inadatta ad un rendi- mento corrispondente agli altissimi salari legali popolo le città di disoccupati, di cui non tutti poteron sempre esser impiegati dagli enti pubblici, e un buon numero dovette ricorrere, per vivere, alla pubblica assistenza.

Le fantastiche retribuzioni d’altronde svilupparon ben presto, anche nelle categorie più abili, la tendenza a ridurre le ore ed i giorni di lavoro, moltiplicando le feste, i riposi ed i turni. Avvezzo a contare illimitatamente sullo Stato, l'operaio australiano si limita a guadagnare l’indispensabile per alimentare un tenor di vita abbastanza largo e sufficientemente costoso, causa lo stravagante protezionismo. Ma manca in lui ogni spirito di previdenza; e ben lo