Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/105

Da Wikisource.

97

mi rompi l’orecchie con questo frastuono. Egli è come parlare a’ macigni. Rinsaviiscono anche talvolta, dopo avere un poco dormito; e al destarsi conoscono la mala via in cui sono posti e i molti inutili passi gettati. Si richiamano allora del proprio delirio con misere voci: oh patria! oh amici! oh miei traffichi! oh foro! oh studio! oh palestra! chi mi ha consigliato di abbandonarvi? Ora che fo io su per questi monti, tra questi boschi, con questo timpano da metter paura negli orsi? Ma la puerile vanità torna a spirare, ed eccoli nuovamente in danza, eccoli nuovamente in tripudio finchè loro basta la vita.

Quando adunque accada a taluno, il quale coltivi gli studii di proposito e con la debita assiduità, d’incontrarsi in questi letterati per diletto, do loro consiglio di non venirne a quistione con essi, e nè manco di stizzare. Essi sono più che altro da compiangere. Basterà dir loro sotto voce: povero Ati! Ati infelice! tu manchi di ciò che più importa, e il timpano e l’ululare ti tengono luogo d’ogni cosa. Potrete conoscerli facilmente: il loro fare e da femmine vane e insolenti, spiccano salti da disperati, ed operano con quella discrezione medesima che si userebbe fra i boschi. Hanno il furore di Cibele che gl’incalza, sono fuori di senno. Credettero che si potesse partire la vita tra Cibele e tra Sangaride, e si sono ingannati: persistettero nel loro errore, e ne furono puniti colla demenza. Niente ad essi è difficile, tengono per nulla get-