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XII. TRADUZIONI DAL LATINO, ED ALTRE POESIE.


A questa maniera, non che le altre cose originali, composte gli venivano, ciò che sembrerà più stupendo, le traduzioni di classici latini, alle quali si era in questi anni appunto applicato. Così cominciò e condusse a fine il volgarizzamento delle Eroidi d’Ovidio, di cui alcuni saggi videro la luce, altri conservo manoscritti, altri da ultimo forse si troveranno fra le carte di esso rimaste agli eredi, fino al compimento di tutta l’opera, che tutta di fatti compì. In proposito della qual traduzione mi piace notare che l’aver preso a volgarizzare Ovidio, anzichè altro poeta, come vedremo di Quinto Curzio, a preferenza d’altro storico, mi è indizio che l’anima sua sentivasi naturalmente inclinata, ciò che notai da principio, al magnifico e all’immaginoso; e il metodo e il carattere del volgarizzamento mi danno a divedere per altra parte quella stessa naturale inclinazione falsata, o per lo meno contraddetta dalla forza che gli fu fatta dai casi. Non aggiugne il Pezzoli nella sua traduzione la corrispondenza col testo che mirabilmente seppe ottenere il Pompei, in onta di liberare l’originale dalle soverchie licenziosità di alcuni passi, in cui il Veronese, scrupolosissimo nel rifare il disegno, smorza alcun poco della vivezza del colorito; ma prevale al Pompei nel calore e nell’ornamento: