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rivava l’Oceano in ruscelli, e il calore vivificante tutta natura in piccioli fochi di ragazzi ne’ prati le belle notti d’inverno. Abbandoniamo alquanto le regole per considerare il principio universale da cui procedono; retrocediamo verso il secolo de’ nostri antenati, facciamoci a respirare l’aura de’ primi tempi, piena d’innocenza e di vita; ricuperando, quanto è possibile, al nostro ingegno la sua giovinezza.
L’intimo, l’essenziale è sparito dalle opere dell’immaginazione, o, a meglio dire, più non ci si porge mente; tutti gli esami si riducono a certe esteriorità, a certe regole di convenienza. Possediamo la teorica delle proporzioni con cui giudichiamo delle statue, ma esse aspettano il movimento e la vita. Cerchiamo una volta noi in noi stessi. Individui d’una immensa famiglia, affratellati nelle facoltà, nei bisogni, nelle virtù, nelle colpe, pensando al nostro particolare non dimentichiamo la generalità della specie. Il generale è qualità del sublime. Quanto più ci espandiamo sugli altri, tanto più rientriamo in noi stessi, purchè per giudicare degli altri prendiamo sempre da noi stessi le norme. Questo legame dell’essere speciale d’un uomo con quello di tutti, per cui ciò che è bene individuale si fa bene comune, libererà l’età nostra dalla più abbietta e meno scusabile delle schiavitù, quella dell’intelletto. Noi non temeremo più critici; saremo giudici di noi stessi, più severi e più giusti di quelli che ci assolvono o ci condannano.