Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/348

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potrei dimenticare quelle onde lunghe e spumose che veniano ruggendo a fiaccarsi sopra il lido, ma prima battevano morbide e fredde al mio petto?

Io guardai dunque il cielo dapprima, guardai poscia il mare: ma che? cielo e mare erano anch’essi cangiati. Mi ricordai di quegli anni ne’ quali il cielo mi pareva molto più basso, e il mare assai meno vasto. E perchè cielo e mare non dovevano subire col tempo quel cangiamento, nel concetto che di essi formavasi la mia anima, quale avevano subito gli altri oggetti che mi sorgevano incontro e dintorno? L’immensità del cielo e del mare è effettiva, e il ragionamento dona ad essi tutta quella grandezza e solennità, onde sono privati i meschini lavori dell’uomo.

Oltre che cielo e mare non sono circoscritti, intorniati, riguardo almeno ai nostri occhi, da questi stessi edifizii? Vorreste dire essere il medesimo cielo che vi si mostra guardato tra la spessezza dei rami di un bosco, e questo che vedete interrotto dalle cupole della basilica, e dai merli puntuti del palagio ducale? È egli lo stesso quel mare che si spezza per entro gli scaglioni a parecchi piani, che la veneta industria gli oppose, e quello che viene a rispianarsi spandendosi sulle alte sabbie? Il colore del cielo e del mare è pur sempre azzurro; di quello sempre maestosa la calma, di questo sempre tonante la voce; colà nubi e pianeti, qui spume e conchiglie. Ma in onta ad un’apparente rassomiglian-