Pagina:Prose e poesie (Carrer).djvu/44

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dannosa, quanto si è quella contro cui ho spese finora le mie parole? Eh! ci vuole altro medico che non sono io, altra ricetta che di poche ciance. Ma se avessi saputo consigliarvi a non creder voi, nè altri punto più savii, per specolar che facciate, o che facciano oltre a quel termine che è conceduto alle nostre ricerche, mi sembrerebbe pure di aver fatto non picciol guadagno di merito a profitto de’ miei fratelli. Chi vorrà lasciar nelle tenebre il suo diletto? Chi contentarsi sapere che n’è amato? Forse due, forse nessuno. Quella sciagurata lucerna passa da mano a mano; e tutti, a questa o a quell’ora, siamo condannati a dolerci di una felicità che si fugge inesorabile alle nostre preghiere, colpa il troppo guardarla. E allora che ci rimane? La memoria dei beni che abbiamo perduto. E purtroppo allora soltanto possiamo renderne ragione, e divisarne la natura e la intensità. Dottori in cattedra che sputano aforismi, in casa cani arrabbiati che si graffiano e mordono da sè stessi. E per finirla con quattro graziosi versetti di un poeta graziosissimo, precursore del Metastasio, dacchè in questa diceria non c’è stata scarsezza di poetiche citazioni,

Ahi! che il meglio del contento,
S’ei non parte, non si sa;
Ah! che il peggio del tormento
Si conosce quando s’ha.