Quando, strutte le torri e gli spalti,
Venner meno i superbi baroni,
E tra l’ombre d’arcane prigioni
16Improvvisa la luce calò:
Tempo è alfin che rïina tu sorga,
E rassuma lo scettro e le bende;
Già la splendida bile t’accende,
20Che il maggior Ghibellino scaldò;
E negli antri muscosi di Sorga,
Presso un fonte, tra l’ôra, tra i rami
Ne’ sospiri la bella richiami,
24Per cui tanto si pianse e cantò.
Pari all’agile fiato d’Aprile,
Che ne’ torpidi germi s’induce,
Quando aperte alla tepida luce
28Il for primo le foglie non ha,
Ne’ rei petti uno spirto gentile
Spegne i semi d’antico livore;
Uno spirto di gloria e d’amore
32Molce l’alme, e pietose le fa.
Già di Brenno e d’Arminio l’erede,
La ferocia deposta natia,
S’alza ratto e alla terra s’invia,
36Che sì dolce loquela sortì;