Pagina:Prose e poesie (Carrer) III.djvu/184

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da risparmiare il più possibile dei dolori dell’ansietà e dell’incertezza. Potrei citare la bella sentenza di Dante (Purg. XVII); ed è verissimo che chi ha bisogno di troppe moine e fregagione a bencficare, più assai usuraio di benefizii merita di essere chiamato che benefattore. Le preghiere, le lagrime, gli spasimi di chi ha bisogno di soccorrimento e se lo vede indugiare, non sono una specie di usura, forse più crudele ed ingiusta di quella che si fa per cifre e col pegno alla mano?

Riferendo il benefizio a noi stessi, non rimarremmo tanto incerti a pensare dei modi E fra i moiti che possono adoprarsi ci faremmo abili a trovar fuori senza contrasto il migliore. Ci sono di quelli che gettano il pane a’ poveri colla balestra, per cui è miracolo se non accoppano ad ogni poco que’ medesimi cui pretendono disfamare. Se si fa loro da qualche amico notare questa poco lodevole guisa di beneficare, e’ vi rispondono: che non vuolsi badare a certe bazzecole, ch’egli è abbastanza di dare, e chi riceve non dover esser di natura tanto facile a risentirsi. Quasichè la miseria non renda più risentiti, a quella stessa manera che dov’è piaga ivi è più malagevole toccare senza dolore! Uno scherno, un rabbuffo che sia detto ad un grande, ad un ricco, egli è nulla a paragone dell’avvilimento che ne viene al meschino ed al povero. Quei primi hanno di che consolarsi ad un girar d’occhi, quest’ul-