Pagina:Prose e poesie (Carrer) III.djvu/215

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cielo, ridotto a tanto deplorabile estremità. Ma non per questo Quintilio s’accheta; continua a pensare che Fulgenzio sia già prossimo a mettere l’anima in un sospiro, e ciò pel gusto di risoffiargli tra le labbra la vita coll’alito della sua carità. Si sparla di Prudenzio? È fatto segno alla più accanita persecuzione che possa immaginarsi la mente umana? Quintilio ne gongola, come d’una bella opportunità che gli è messa innanzi da far spiccare il proprio coraggio nella difesa de’ calunniati. Se Prudenzio potrà risorgere nell’opinione degli uomini, ne avrà tutto il merito la lingua misericordiosa di Quintilio. Oh soperchio di misericordia!

Ciò che veggiamo accadere ne’ teatri, ove quando uno applaudisce sono pronti dieci altri a fare lo stesso, e quindi a questi dicci se ne accompagnano cento; accade fra gli spettatori nel gran teatro del mondo, i quali, per la più parte razza di pecore e zebe, mettono le zampe sull’orme altrui. Ma c’è inoltre da osservare che, non contenti di rimanersi confusi tra la folla delli spettatori, vogliono, o tosto o tardi, qual più e qual meno, l’un dopo l’altro montare il palco, e recitare la parte, o per dirla con frase più teatrale, schiccherare il proprio a solo nel cospetto di tutto il mondo. Qui sta la prima fonte dei guai. Ad essere giusti e non più si corre pericolo di passare inosservati; vogliamo quindi esercitare una giustizia che faccia fracasso. Dar a tutti