Pagina:Prose e poesie (Carrer) III.djvu/288

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certa sua barbetta, e di certi suoi mostacchi, che, quando si quando no, quando in una quando in altra guisa, si lasciava crescere sopra la faccia. «Peccato, dicevangli taluni, peccato che non lasci netto da pelame quel volto che la natura gli ha conceduto si regolare ed espressivo! Le fanciulle tutte ne andrebbero pazze, quando invece, così adombrato, ne impauriscono». Non so quanto ci avesse di vero nello spavento delle fanciulle, ma fatto sta che l’amico si tolse dal volto la ridondante vegetazione. Ed eccoti altri amici apostrofarlo: «Ve’, ve’, il bel capriccio! A chi potevano meglio convenire la barba e i mostacchi? Un bel guadagno ci ha fatto la tua faccia dal mostrarsi così nuda e lisciata come di femminetta!» E l’amico, forse per la vanità naturale a tutti gli uomini, e ai giovani singolarmente, torna al proposto di prima, e si lascia crescere barba e mostacchi. Fedeli gli amici tornano alle lagnanze; a tal che il pover’uomo non sapea che si fare per dare nell’umore a persone di sentimento si opposto. Ecco il pensiero che gli è venuto, e cui mise in esecuzione con imperturbabilità degna di essere ricordata in un giornale.

— Qua barbiere, disse a certo Tiberio, uso a radergli la barba ed acconciargli il capo, qua: taglia, a dritta, barba e mostacchi. — Ecco fatto, soggiunse mastro Tiberio, in capo a qualche minuto, e, levato il rasoio da mano destra, mostrava voler rifare la prova alla sinistra. — Sta,