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Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/162

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mi in errore, quando le ragioni accampate dal dotto uomo me ne procurino il convincimento, non rimarrò in questo mezzo dall’esporre quelli che mi sembrano argomenti di qualche importanza a provare il contrario. Non si supponga per questo ch’io mi faccia proselite delle arbitrarie prescrizioni, reverende soltanto a cagion della ruggine che le ricopre, e voglia meritarmi la taccia di adulator dei sepolcri, ch’è, se non la più vile, certamente la più ridicola fra le adulazioni. Mi sono sempre fatto beffe di quelli che combattevano i così detti romantici con dir loro che miravano ad escludere tutte le regole, quando dovevano dire piuttosto che alle regole arbitrarie e tutte particolari volevano surrogarne di legittime ed universali. E per questa stessa ragione mi sembra di dover contraddire all’intenzione attuata nell’opere di questi moderni Titani, troppo indeterminata, e troppo individuale.

Un sentimento d’irrequietudine impossibile ad essere definita; una lotta continua tra due potenze, delle quali l’una vive e si nutre di volontà, l’altra di resistenza, sentendo la prima sė in sé e nelle proprie azioni, l’altra manifestandosi per via degli impedimenti che oppone; un’aberrazione dal sensibile e dall’effettivo al possibile e all’immaginato; l’individuo rappresentato coi caratteri della generalità, e il generale costretto e rappicciolito entro i termini dell’in-