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Pagina:Prose e poesie (Carrer) IV.djvu/44

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ricorda di aver mai parlato con chi fosse più tenebroso ne’ suoi discorsi. Pareva proprio che fosse un pipistrello al compiacersi dell’ombre, e all’avvolgersi volontariamente fra quelle come in suo proprio elemento. Un altro: vale meno che zero, dicea, la tal cosa; non c’è il pregio d’un quatrinello meschino ad ottenere la tal altra; e sempre col valore delle cose sulle labbra. Lo avreste creduto un avaro: non v’ebbe chi mandasse in fumo un ricco patrimonio in minor spazio di tempo, di quello abbia saputo fare il bravo uomo che di ogni cosa pesava il valore. Vorrei por fine agli esempi, ma non posso dimenticare Corilla, damina di forse trent’anni. Ella ardeva di desiderio; protestava di farsi di bragia all’udire certi racconti; non avervi calore d’affetto, diceva, al suo tempo e fra tante brage e calori non conobbi forse altra donna più tranquilla di lei, se non fosse Domizia, che, bevendo il cioccolate, narrava tra sorso e sorso a un’amica, di aver perduto il di innanzi la più cara e più antica delle sue conoscenze.

Con miglior fondamento si può giudicare degli scrittori esaminando le similitudini che sono da essi più frequentemente adoperate. Furono già con molto sendo notate quelle che aveano riguardo alla luce, per giudicare della cecità di Omero e di Milton. Sono di quelli che non si levano mai sull’ali della propria immaginazione senza imbattersi in qualche rupe: duro, brullo,