39 Egli avea il capo, che parea d’un orso,
Piloso e fiero; e’ denti come zanne,
Da spiccar netto d’ogni pietra un morso;
La lingua tutta scagliosa, e le canne;
Un occhio avea nel petto a mezzo il torso
Ch’era di fuoco, e largo ben due spanne;
La barba tutta arricciata e’ capegli:
Gli orecchi parean d’asino a vedegli12.
40 Le braccia lunghe setolute e strane,
E ’l petto e ’l corpo piloso era tutto;
Avea gli unghion ne’ piedi e nelle mane,
Chè non portava i zoccol per l’asciutto13,
Ma ignudo e scalzo, abbaia com’un cane;
Mai non si vide un mostro così brutto:
E in man portava un gran baston di sorbo
Tutto arsicciato, nero com’un corbo.
41 Questo una buca sotterra avea fatto,
E sopra quella forato un gran masso:
Quivi si stava e nascondeva il matto:
Verso la strada avea forato il sasso,
E per un bucolin traea di piatto,
E molta gente saettava al passo:
Facea degli uomin micidial governo,
E chiamat’era il mostro dall’inferno.
42 Rinaldo, quando apparir lo vedia,
Diceva a Ulivieri: Hai tu veduto
Costui, che certo la versiera fia?
Disse Ulivier: Iddio ci sia in aiuto,
Credo più tosto sia la Befania14,
O Belzebù che ci sarà venuto.
Guardava il petto e la terribil faccia,
E ’l baston lungo più di dieci braccia.
43 Quest’animal venìa gridando forte,
E come l’orso adirato co’ cani,
Ispezza e’ rami e’ pruni, e le ritorte
Con quel baston, co’ piedi e colle mani.
Disse Dodon: Sare’ questa la Morte,
Che ci assalissi in questi boschi strani?
Se tu riguardi, Rinaldo, i vestigi,
De’ compagnon mi par di Malagigi.