19 Rinaldo vide Ulivier preso al vischio11
Un’altra volta, e già tutto impaniato;
E dicea: Questo ne vien tosto al fischio;
Conobbe il viso già tutto mutato:
Vedeva gli occhi far del bavalischio13.
Disse in francioso un motto loro usato:
A ogni casa appiccheremo il maio12,
Chè come l’asin fai del pentolaio14.
20 Ma non vagheggi a questa volta, come
Solevi in corte far del re Corbante;
Chè se ti piace il bel viso e le chiome,
Piace la spada a costei del suo amante:
Queste son dame in altro modo dome,
Non c’è più bell'amar che nel levante.
Ulivier sospirò nel suo cor forte,
Quasi dicessi: Sol non amai in corte.
21 E ricordossi allor di Forisena,
Che del suo cor tenea le chiavi ancora,
Ma non sapeva, omè, della sua pena:
Prima consenta il ciel, dicea, ch’i’ mora,
Che sciolta sia dal cor quella catena,
Che scior non puossi insino all’ultim’ora;
E se fra’ morti poi vorran gli Dei
Che amar si possi, amerò sempre lei.
22 Non si diparte amor sì leggiermente,
Che per conformità nasce di stella15;
Dovunque andremo in levante o in ponente,
Amerò sempre Forisena bella:
Però che ’l primo amor troppo è possente,
Non son del petto fuor quelle quadrella,
Ch’io non credo che morte ancor trar possa,
Prima che cener sia la carne e l’ossa.
23 Lasciam costoro insieme un poco a mensa.
Aveva alcuna spia re Manfredonio,
Come colui ch’e’ suoi pensier dispensa,
D’aver di ciò che si fa testimonio:
E poi chi ama, giorno e notte pensa
Come e’ si tragga l’amoroso conio16:
Non si può dir quel ch’un amante faccia
Per ritrovar della dama ogni traccia.