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canto decimosesto. 327

12 E volsesi a Orlando con un riso,
     Con un atto benigno, e con parole,
     Che si vedeva aperto il paradiso,
     Che si fermò a udir la luna e ’l sole.
     Ma Chiariella diventò nel viso
     Del color delle mammole viole,
     Così Copardo; e gli occhi giù abbassorno,
     Chè del peccato lor si ricordorno.

13 Seguì più oltre Antea: Ciò ch’io v’ho detto,
     È quel che ’l padre mio da voi sol brama;
     Or vi dirò quel ch’io serbo nel petto:
     È questo il cavalier c’ha tanta fama,
     La qual già non asconde il suo conspetto?
     Se’ tu colui, che tutto il mondo chiama
     Il miglior paladin che abbassi lancia,
     Onore e gloria e di Carlo e di Francia?

14 Se’ tu Rinaldo mio famoso e bello?
     Se’ tu colui che ti stai in su quel monte?
     Se’ tu d’Orlando suo cugin fratello?
     Se’ tu quel della gesta di Chiarmonte?
     Se’ tu colui ch’uccise Chiariello?
     Se’ tu quel ch’ammazzasti Brunamonte?
     Se’ tu il nimico di Gan di Maganza?
     Se’ tu colui ch’ogni altro al mondo avanza?

15 Rinaldo sono, o gentil damigella,
     Come tu conti, e di quel parentado.
     Disse la dama: Di te si favella
     Per tutto l’universo, e ciò m’è a grado,
     Salvo ch’alcun te mancatore appella
     Di gentilezza, ch’udito hai di rado
     A imbasciador già mai far villania,
     Comunche e’ parli, o qualunque e’ si sia.

16 Tu uccidesti il nostro imbasciadore:
     Io non vo’ giudicar chi s’abbi il torto;
     Se non che mi dispiace per tuo onore,
     E per onor di me, poi ch’egli è morto,
     Sendo mandato da sì gran signore:
     Di far di lui vendetta mi conforto,
     Nè sanza giostra indrieto vo’ tornarmi:
     Così ti sfido, e prenderai tue armi.