Pagina:Pulci - Morgante maggiore II.pdf/162

Da Wikisource.

canto ventesimosecondo. 159

84 La nostra legge ciò non ci consente,
     Che quando un si volessi battezzare,
     Noi lo dobbiamo uccider per niente:
     Non sel potendo dinanzi levare,
     Per questo ch’io ti dico, onestamente,
     E pure Antea volendo satisfare,
     Condusselo alla mazza a questo inganno.
     E’ pesciolini a Monaca lo sanno.

85 Però troppo mi son maravigliato,
     Come voi siate stato in tanto errore
     A creder ciò che Rinaldo ha parlato.
     Or non bisogna insegnare al signore,
     Massime avendo il nimico ingabbiato:
     Io vi conforto a tutti fare onore;
     E sopra tutto a questo esser discreto,
     Che ciò ch’io ho detto tra noi sia segreto.

86 E dipartissi questo maladetto,
     E disse fra suo cuor: S’io non son matto,
     Credo che sgocciolato sia il barletto.
     Diliante rimase stupefatto,
     E fece sopra ciò più d’un concetto,
     Come più netto riuscissi il tratto,
     Che rimanessi alla lasca la lontra,
     Chè ciò, che Gan gli ha detto, si riscontra.

87 E come savio, una sera cenando,
     Disse così, ch’è malizioso e tristo:
     Questo baron come si chiama, Orlando?
     Forse che ’l nome ha ancor maumettisto?
     E poi più oltre venía seguitando:
     Non disse nella cena il vostro Cristo:
     Colui che meco nel catino intigne,
     Mi dè’ tradire, anzi ha tradito, e figne?

88 Rispose Orlando: Questo che vuol dire?
     Disse il Pagan: Sanza cagion nol dico:
     Colui c’ha a far, non suol molto dormire,
     Ma sempre investigar del suo nimico:
     Ben sapea ben chi ci dovea venire,
     Ch’a Monaca e Corniglia ho qualche amico:
     Colui ch’uccise il Veglio, quel gigante,
     Mi par poco maggior che Diliante.