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canto ventesimoquarto. 211

9 Ed ogni volta ch’ella andava a mensa
     Gli era il pan sottosopra innanzi volto,
     Che denotava del Soldan l’offensa,
     E l’odio che nel petto avea sepolto:
     Proverbio è: chi ben siede, al fin mal pensa;
     Ebbe pur loco il suo pensiero stolto,
     Chè nel cor femminil può molto sdegno,
     E Ganellon vi misse ogni suo ingegno.

10 Era tornato, come io dissi, Gano,
     E molte volte lettere avea scritto,
     E rinnovato l’odio del Soldano
     E che Rinaldo si sta per l’Egitto;
     E come molto vecchio è Carlo Mano,
     Ch’omai si potea dir per gli anni afflitto:
     Che dirizzassi sua famosa insegna
     In Francia, e presto con sua gente vegna.

11 Teneva Antea gran corte e baronía,
     E chi più crede poi poter, più erra:
     Chi una cosa, chi altra dicia,
     Che si dovessi a’ Cristian muover guerra;
     E ricordava ognun la villania,
     Come Morgante avea guasta la terra,
     E come Orlando pose il campo a torto,
     E fu cagion che il lor signor sia morto.

12 E tutti infine un dì fecion concilio,
     Dove l’alta regina ed ognun disse,
     Ed accordârsi scrivere a Marsilio,
     Che inverso Francia con gente venisse,
     Apparecchiassi tutto il suo navilio,
     E dalla parte di Spagna assalisse;
     E intanto Antea a Parigi verrebbe,
     E gran vendette ognun di lor farebbe.

13 A Siragozza questa impresa piace;
     E perch’egli era in Francia imbasciatore
     Re Bianciardino, e trattava la pace
     Tra re Marsilio e Carlo imperatore;
     Poi che quest'altro parer fu capace,
     Fu rimandato per esso a furore,
     E che tornassi battendo le penne,
     E colle trombe nel sacco ne venne.