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278 il morgante maggiore.

159 E poeti e filosofi e morali,
     Queste cose, ch’io dico, anche non sanno,
     Ma la presunzion vuol de’ mortali
     Saper le gerarchie come elle stanno;
     Io ero Serafin, de’ principali,
     E non sapea quel che qua giù detto hanno
     Dionisio e Gregorio, ch’ognun erra
     A voler giudicare il ciel di terra.

160 E sopra tutto a questo ti bisogna
     Non ti fidar di spiriti folletti,
     Che non ti dicon mai se non menzogna,
     E metton nella mente assai sospetti,
     E farebbon più danno che vergogna:
     E perchè intenda, e’ non vengon costretti
     Nell’acqua o nello specchio, e in aria stanno,
     Mostrando sempre falsitate e inganno.

161 Vannosi l’un con l’altro poi vantando
     D’aver fatto parer quel che non sia:
     Chi si diletta ir gli uomini gabbando,
     Chi si diletta di filosofia,
     Chi venire i tesori rivelando,
     Chi del futuro dir qualche bugia;
     Sì ch’io t’ho letto un gentil mio quaderno,
     Chè gentilezza è bene anche in inferno.

162 Or basti, disse Malagigi, questo:
     Dimmi al presente quel che fa Marsilio.
     Disse Astarotte: Io tel dirò e presto:
     A Siragozza ha chiamato a concilio
     Il popol tutto, e veggo manifesto
     Gran gente d’arme e di molto navilio
     Apparecchiarsi, e lui nel volto lieto,
     Ma non dice a persona il suo secreto.

163 Potresti tu ritrar qualche parola
     Di Falserone o del re Bianciardino?
     Disse Astarotte: E’ basta questa sola,
     Che qualche tradimento m’indovino.
     Or non più, disse Malagigi, vola,
     E piglia inverso Rinaldo il cammino,
     E porta in Roncisvalle, ov’io t’ho detto,
     Quanto più presto lui con Ricciardetto.