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canto ventesimosesto 331

84 Rinaldo non sapea formar parole
     Alla risposta accommodate a quello,
     E ringraziare Astarotte suo vuole,
     E così Squarciaferro e Farferello;
     Poi gli rispose: Astarotte, e’ mi duole
     Il tuo partir quanto fussi fratello:
     E nell’inferno ti credo che sia
     Gentilezza, amicizia e cortesia.

85 E se lecito t’è quel ch’io dico ora,
     Qualche volta mi torna a rivedere,
     E Squarciaferro, e Farferello ancora,
     Ch’io penso sol di potervi piacere;
     E quel Signor, che la mia legge adora,
     Prego, se 'l prego dovessi valere,
     Che vi perdoni, e che ciascun si penti,
     Chè ristorar non vi posso altrimenti.

86 Disse Astarotte: Se vuoi ch’io domandi,
     Una grazia sol chieggio, qual puoi farmi,
     E poi contento da te me ne mandi:
     Tu facci a Malagigi liberarmi,
     E in qualche modo me gli raccomandi:
     Però che sempre potrai comandarmi,
     Chè di servirti non mi fia fatica;
     E basta solo Astarotte tu dica.

87 Ed io ti sentirò fin dello inferno,
     E verrà per mio amor qui Farferello.
     Io ti sono obbligato in sempiterno,
     Disse Rinaldo, e così il mio fratello;
     Però, non che una lettera, un quaderno
     Iscriverrò di buono inchiostro a quello,
     E farà ciò che vorrai, Malagigi;
     Pensa s’io posso farti altri servigi.

88 E manderògli un messaggier volando,
     E scriverò della tua cortesia;
     E così farò scrivere a Orlando,
     Sì dolce è stata la tua compagnia.
     Disse Astarotte: A te mi raccomando.
     E disparì co’ suoi compagni via,
     Che parve proprio un baleno sparissi,
     E che la terra di sotto s’aprissi.