22 Quando Ulivier percosse il viso a Gano,
Io dissi allor come e’ si pose in core
Di vendicarsi; chè gli parve strano,
Sendo pur per natura traditore.
Ricórdati, lettor, del Lampognano,
E non cercar d’altro antico autore;
E sempre tien la paura in corazza,
Chè il disperato al fin mena la mazza.
23 Forse che Gano ancora avea speranza
Di ricoprir con Carlo il tradimento;
Ed avea tanta gente di Maganza,
Che, come il conte Orlando fussi spento,
Si confidava nella sua possanza,
Di poter le bandiere alzare al vento
Col favor di Marsilio e con la lancia,
E coronarsi del regno di Francia.
24 Or lasciam questo traditor pe’ boschi,
Com’io dissi, pe’ balzi e per le fosse,
Perch’io son pien di molti pensier foschi:
Non c’è il nocchier che la mia barca mosse,
E bisogna che terra io ricognoschi
Come se quella in alto mare or fosse,;
E rilevare il porto per aguglia,4
Perchè la sonda alle volte ingarbuglia.
25 Morto è Turpino e seppellito e pianto,
Tanto ch’io temo, nella prima vista,
Di non uscir fuor del cammino alquanto,
Chè mi bisogna scambiar timonista;
E nuova cetra s’apparecchia e canto;
Ma perchè volteggiando pur s’acquista,
Forse che in porto condurrem la nave,
Di ricche merce ponderosa e grave.
26 Sì ch’io ricorro al mio famoso Arnaldo,
Che m’accompagni insino al fine e scorga,
Tanto ch’io ponga in quiete Rinaldo,
E la sua destra mano al timon porga;
Che, poi che Gano ha squartato il ribaldo,
D’un zucchero candito è pieno in gorga,5
E riforbito s’ha gli artigli e ’l becco,
E tratto fuor della mente lo stecco.