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canto ventesimottavo. 427

112 Fe’ come savio prima testamento,
     Divise in molte terre il suo tesoro;
     Lasciò tutti i suoi servi ognun contento,
     Che molte cose partiron fra loro:
     E tre tavole ricche d’ariento
     Tutte intagliate, ed una di puro oro,
     Condotte e fatte con mirabile arte,
     Distribuì com’io truovo in tre parte.

113 La prima, ov’era tutta disegnata
     La gran città che Bisanzio si noma,
     Al santo altar di Pietro ha diputata;
     E l’altra, ov’era sculta l’alma Roma,
     Volle che fussi a Ravenna mandata.
     O gran presente, o ricca, o degna soma!
     O magnanimi don, memoria e segno,
     Che minor non conviensi a tanto uom degno!

114 La terza fatta con maggior lavoro,
     Dove tutto descritto appare il mondo,
     E quell’altra ch’io dissi tutta d’oro,
     A Lodovico suo figliuol giocondo
     Rimase, ultimo erede fra costoro,
     Morti Carlo e Pipin primo e secondo:
     Sì che Luigi era il terzo figliuolo,
     Che succedette alla corona solo.

115 Or poi che Carlo è seppellito e morto,
     E fruisce quel gaudio e quel giubillo
     Che s’aspetta a ognun che giugne al porto
     Di sua salute e suo stato tranquillo,
     A me parrebbe alla istoria far torto
     S’io non aggiungo qualche codicillo,
     Acciò che ognun, che legge, benedica
     L’ultimo effetto della mia fatica.

116 Noi possiam per la istoria intender quasi
     Come all’unico figlio Lodovico
     Molti regni e paesi son rimasi
     Per virtù del suo padre, come io dico,
     Per molti tempi, effetti e varj casi;
     Insino al re di Persia è fatto amico,
     Tanto a sè il trasse come calamita
     L’opere degne del suo padre in vita.