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430 il morgante maggiore.

127 La madre sua, ch’era Berta chiamata,
     Sempre la tenne con debito onore,
     Acciò che fussi la legge osservata
     Di Moisè da quel primo dottore:
     Era di Grecia, di gran sangue nata,
     Figlia di Eraclio degno imperatore:
     Or basti una parola, uditor mio,
     Ch’ogni cosa ben fa chi teme Iddio.

128 Dunque giusta la vita, retta e buona,
     È stata del mio Carlo veramente;
     E tenuto ha lo imperio e la corona,
     Come magno signor felicemente:
     Ma perchè intanto una tuba risuona
     In altra parte, e per tutto si sente;
     Benchè la istoria sia degna e famosa,
     Convien che fine pure abbi ogni cosa.

129 E s’io non ho quanto conviensi a Carlo
     Satisfatto co’ versi e col mio ingegno,
     Io non posso il mio arco più sbarrarlo
     Tanto ch’io passi il consueto segno;
     E dicone mia colpa, e ristorarlo
     Aspetto al tempo del figliuol suo degno,
     Ch’io farò in terra più che Semideo,
     Dove sarà Ciriffo Calvaneo.

130 I’ho condotto in porto la mia barca,
     Non vo’ più tentare ora Abila e Calpe;
     Per che più oltre il mio nocchier non varca,
     Per non trovarsi come spesso talpe,
     O come quel ch’entrò nella santa arca:
     Tanto che i monti si scuoprino o l’alpe
     Pel tempo ancor pur nebuloso e torbo,
     Ed aspettar che ritorni a me il corbo.

131 Non ch’io pensi star surto sempre fermo;
     Chè s’io vorrò passar più là che Ulisse,
     Donna è nel ciel che mi fia sempre schermo;
     Ma non pensai che innanzi al fin morisse.
     Questa fia la mia stella e ’l mio Sant’Ermo:
     E perchè prima in alto mar mi misse,
     Come spirto beato tutto vede,
     Ricorderassi ancor della mia fede.