Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/276

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no, sotto le mura d’Azoff, io sedeva a mensa nella tenda del feroce Pietro. Il vino ferveva nelle coppe, e non meno di quello bolliva il nostro sangue incalorito dalla discussione. Mi sfuggì dalle labbra una parola acerba. I convitati impallidirono. Il principe infuriato lasciò cader la coppa, e minaccioso mi tirò pei canuti baffi. Fu forza ch’io inghiottissi quell’oltraggio; ma in cuore giurai di vendicarlo. Ho fin qui nutrito la vendetta in seno, come una madre il caro pargoletto. Aspettavo il momento propizio. È giunto. Il cielo m’ha eletto a punitor di Pietro; il nome di Mazeppa non gli escirà mai dalla memoria. Io sono la spina della sua corona. Volentieri darebbe le sue più grandiose città, le sue più belle ore di vita per potermi tener un’altra volta per i baffi.... Ci resta tuttora una speranza...... L’aurora determinerà per chi parteggeremo.

Dopo ch’ebbe così parlato, il fellone tacque e s’addormentò.

La nuova aurora splende all’oriente. Già i cannoni mugghiano sui poggi e nelle valli. Un purpureo vapore s’alza, ondeggiando per l’aria indorato dai raggi mattutini. I reggimenti serrano le file; i bersaglieri si sparpagliano per le macchie. Le bombe scoppiano; le palle fischiano; le fredde baionette avanzano. Li Svedesi attraversano il fuoco delle trincere; la cavalleria fluttua e vola; l’infanteria la segue, e la rinforza colle sue masse pesanti e compatte. Il lugubre campo traballa e arde in mille luoghi; ma appare chiaro da vari segni che l’incostante fortuna questa volta combatte con i Russi. Le legioni svedesi, rispinte dall’artiglieria moscovita, si scompi-