Pagina:Puskin - Racconti poetici, 1856.djvu/57

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16 il prigioniero del caucaso.

Così cantavano le verginelle. Seduto sulla sponda, il Russo macchinava la fuga; ma i ceppi suoi son gravi, il flutto è alto, la corrente è veloce. Frattanto la steppa s’imbruna, le cuspidi dei monti s’annebbiano; appena di quando in quando echeggia nelle valli la pedata di un corsiero; cessò il crocitar dell’aquila; i cervi riposano nelle boscaglie ombrose sull’orlo de’ fiumi; gli aúl s’addormentano, e il roseo barlume della luna riverbera sulle capanne bianche dei Circassi.

Il prigioniero ode in vicinanza un passo a lui ben noto: scorge un velo femminile che svolazza al vento: è dessa. Vacillante, smorta, la figlia del deserto non sa trovar sul labbro le parole; la mestizia adombra quei begli occhi, e i capelli le tremolano sciolti sul seno e sulle spalle. Nella destra stringe una lima, colla sinistra un pugnale; diresti che move a una congiura o a un assalto notturno. Fisa lo sguardo sullo straniero, e: “Fuggi!” gli grida: “fuggi! i Circassi non ti possono incontrare. Affréttati.... non perder l’ora propizia.... Togli questo pugnale; nessuno scoprirà la tua traccia nella caliginosa oscurità....”

Così dicendo, essa si prostra a terra, e con mano incerta si accinge a rompere gli anelli che gli accerchiano i piedi. Il ferro cigola sotto la lima mordace: una lacrima involontaria zampilla dal ciglio della giovinetta; la catena crepita, e si spezza. “Sei libero,” essa esclama; “fuggi!” Ma sul volto di lei trapela l’amore e il dolore che le straziano il petto. La brezza stridula gonfia e sbatte la di lei gonna. “O fida amica,” grida il Russo; “son tuo per la vita! son tuo