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discono alla necessità — ma in questo modo non è nè frutto nè merito; conviene fare a sè appoggio di forte rassegnazione (G. Giusti).
Dì mai che nó te gh’ n’è gna ü — Non dire mai che sei affatto senza denaro — cioè non avvilirti mai col ripetere che tu non hai un quattrino; non piagnucolare, sii onesto e lavora: questa è la via che l’uomo di virili sentimenti batte per procurarsi il suo necessario. Chi pubblica la sua miseria collo scopo di farsi aiutare, potrà avere qualche elemosina, non mai un imprestito; perchè diceva ancora mia nonna:
A ü poarèt i ga impresta negót nissù — Ad un poverello nessuno impresta — mentre
A ü ’mbrìac töc i ga öl dà de bìf — Ad un ubbriaco tutti vogliono dar da bere.
In dol bisògn l’è bu töt — Nel bisogno tutto è buono — e
In mancansa de caai a s’fa trotà di asegn — In mancanza di cavalli si fanno trottare degli asini — Con modo aspro, ma assai espressivo, diciamo anche:
Mèi che negót, ègia balèm — Meglio che nulla, vecchia balliamo.
La bolèta gössa l’ talènt — Il bisogno aguzza il talento — Il bisogno fa l’uomo ingegnoso; Il bisogno fa prod’uomo. La povertà è destatrice degli ingegni, laddove la ricchezza li addormenta. W. Scott, nella sua Bride of Lammermoor, alla vecchia cieca Alice fa dire: «Necessity is a stern, but an excellent schoolmistress.» Sì, la necessità può essere una eccellente maestra; ma conviene anche ricordare che
La necessità nó gh’à lege — La necessità non ha legge — e che
La fam cassa ’l lüf fò de la tana, e la fa fa di gran laùr — La fame caccia il lupo dalla tana e induce l’uomo a far delle cose che per sua natura non farebbe. I Latini dicevano: Fames multa docet, ma dicevano anche: Fames male suadet.