Pagina:Raccolta di rime antiche toscane - Volume primo.djvu/119

Da Wikisource.

119

XVII.


Se ’l si lamenta null’uom di ventura,
A gran ragion mi muovo a lamentanza,
Sì come uom, che si credia ’n altura
Ed è caduto, e tornato in bassanza.
E vo piangendo, e moro di paura,
Poi che mi vidi in tanta siguranza
Di quella, ch’è più bella criatura,
Che Dio formasse senza dubitanza:
E par, che m’abbia messo per nïente;
Penso, e veggio, che non ha ragione
Se non che l’è lo mio servire a noglia:
Ed io più le starò sempre obbidiente.
E sempre le vo’ stare in pregasione,
Ch’ella mi renda la sua buona voglia.


XVIII.


Gentile, ed amorosa criatura,
Soprana di valore, e di biltate,
Voi, ch’avite d’Angel la figura,
Lume, che sovra ogn’altro ha claritate;
Mercè vi chiede fideltate pura,
Se v’aggio offeso, che mi perdoniate:
E più mi pesa di vostra rancura,
Che se la morte di me ha potestate:
E de l’offesa fatene vengianza,
In quale guisa più piacer vi sia;
Ed io la soffriraggio umilemente:
E s’io usai in ver di voi fallanza;
Credettivi piacere in fede mia:
Poi che vi spiace, il mio cor se ne pente.