Pagina:Racconti sardi.djvu/116

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Dacchè zia Ventura l’aveva pregato di tener d’occhio la fanciulla, egli non provava un momento di pace e di calma. La figurina di lei gli si era impressa sulla retina degli occhi, e la vedeva da per tutto, nel verde sconfinato della pianura, nel cielo implacabilmente azzurro, di giorno e di notte.

Di notte, anzi, allorchè le greggie vagavano per le macchie silenziose, riempiendo la serenità lattea del plenilunio con la musica monotona delle loro campanelle, Pedru, muto e assonnato, invaso da una intensa melanconia, scorgeva Manzèla in ogni punto, fra i giunchi scintillanti alla luna, nella capanna, sui nuraghi neri e nelle fratte.

Già, da appena l’aveva conosciuta, egli se n’era innamorato, — ma ora, ora il suo amore, raggiungeva la pazzia; egli scoppiava per poco. E fancendo i suoi calcoli Predu si era deciso a spiegarsi e chieder Manzèla in isposa. Cosa gli mancava? Era un buon pastore, giovine, forte, bello; possedeva gregge e qualche pascolo, e poteva metter su casa senza timore alcuno. La fanciulla era molto giovine ed inesperta, ma poco ciò importava. Si poteva attendere o due o tre anni per isposarsi: ciò che importava era il procurarsene l’amore. Quella mattina Predu, vistosi solo al fianco della ragazza, pensava e ripensava al modo con cui spiegarsi, ma non una parola poteva uscirgli dalle labbra, e il cuore gli bat-