Pagina:Racconti sardi.djvu/117

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teva così forte da spezzarglisi sotto il giubbone di velluto.

A momenti mentr’essa chiacchierava sparlando di Bustianeddu, il giovine era tentato di interromperla gridandole in alto il suo segreto, — ma appena staccava le labbra, una specie di torpore ardente gli invadeva la testa, velandogli lo sguardo e costringendolo quasi a cadere per terra.

Pure, alla fine, dovette decidersi. In lontananza appariva già la capanna e la tettoia di frasche secche dove i pastori meriggiavano, — e Bustianeddu, gettando per l’aria l’ultimo trillo della sua canzone s’era slanciato al galoppo verso l’ovile.

Il sole, già alto, dargeggiava la pianura, e Predu sentiva il sangue ondeggiargli ardente, a sbalzi, a meandri, a vampate, infiammandogli il viso e la testa.

Manzèla invece, tirato il fazzoletto su gli occhi, proseguiva tranquilla, col viso dorato, composto come quello di una madonnina latina del Quattrocento. La luce intensa dell’aperta campagna dava un riflesso chiarissimo ai suoi grandi occhi, rendendoglieli quasi grigi e trasparenti, e Predu, guardandola intensamente, si sentiva morir dalla voglia di prendersela fra le braccia, come un piccolo agnello bianco e spaurito, e di coprirla di baci.

— Manzè, — le disse alla fine, fermandosi