Pagina:Racconti sardi.djvu/44

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Elias che divorava la bimba con gli occhi, — si mise a piangere spasmodicamente, chiamandola coi più dolci nomi e spogliandola dalle vesti inzuppate, riscaldandole i piedini contratti e baciandola furiosamente.

Ma Gabina non dava segno di vita.

— Gabinedda... Gabinedda mia... figlia mia... cuor mio, dolce cuor mio! Ahi! è morta... è morta... la figlia mia adorata, la sola mia gioia!... Fiorellino mio, Gabina, povera, povera... Come faccio io... Dio mio, Dio mio, come farò... È morta... vedete, babbo mio, toccate, è morta... è fredda... è morta, Dio mio!...

Simona gesticolava e smaniava; pareva impazzisse, e a momenti parlava, a momenti sorrideva sembrandole che Gabina tornasse in sè, poi ricominciava a piangere come una pazza.

Tanu e Pietro intanto si guardavano confusi e interdetti. Certo la piccina aveva inteso e visto tutto. Dunque?...

Elias taceva e fissava sempre la bimba, cupo e disperato.

— Oh, se fosse morta, se fosse morta davvero?.

Zio Tottoi invece, ch’era molto superstizioso, sorrideva amaramente pensando, che là sotto, stava la mano di Dio che li puniva, o almeno li avvertiva; la luce inondava l’anima del vecchio e un grande pensiero gli brillava nella mente.

Prese Gabina dal grembo di Simona e la pose fra le braccia di Tanu dicendogli: