Pagina:Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi.djvu/101

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aveva quelle artiglierie sul campo, non gli sarebbe mancato modo di levarle di là se ritornato ei vi fosse; ma non pensava invece che alla ritirata, che coprì agli svedesi coll’incendio di Lützen. Se Wallenstein, così continua Raimondo, saputo avesse lo stato in che dopo la battaglia si trovava il nemico, o se a questo sulla condizione degl’imperiali non fossero mancati precisi ragguagli “uno dei due avrebbe certamente avuto la vittoria intera, che nessuno ebbe, e che entrambi si attribuirono”. Scrive invece Federico II nelle sue Memorie di Brandeburgo che gli svedesi vincitori stimaronsi battuti, più non avendo il loro eroe a governarli, e gl’imperiali vinti si crederono vincitori non avendo più Gustavo Adolfo da combattere. Del rimanente ai casi di Wallenstein in quella circostanza convenir potrebbe quell’osservazione dello stesso real scrittore nelle sue Istituzioni militari, che dice: “In una battaglia perduta il più gran male non è la perdita degli uomini, ma lo scoraggiamento delle truppe che ad essa tien dietro”. Scoramento che da una così precipitosa ritirata in que’ frangenti doveva derivare. Una medaglia allegorica venne allora coniata che alludeva alla morte di Gustavo e alla vittoria degli svedesi coll’iscrizione: Etiam post funera victor.

Appena trovossi Wallenstein in luogo sicuro, a Galasso e ad Aldringer ordinò venissero a raggiungerlo colle loro truppe, per aver agio forse di riordinare intanto le proprie. Credé il Muratori alla battaglia di Lützen intervenuto Ernesto Montecuccoli; e v’era in effetto il reggimento di sua proprietà: ma scrisse il Bolognesi esser egli il 2 novembre da Ratisbona, ove si trovava, partito per affrontare il palatino di Birchenfels da Gustavo lasciato a guardia dei passi del Lech, e che aveva altresì in animo di ritentare l’acquisto di Landsberg. E negò anche indirettamente il Gejier che fosse egli a Lützen, dicendo che non vi si trovò il Priorato che era allora coll’esercito di Ernesto. Ben vi fu Raimondo, che aveva a quel tempo il grado di tenente colonnello del reggimento di cavalleria Fiston; e, per usare le parole del Bolognesi, si batté da disperato insieme ad altri italiani: e forse fu il suo tra quei tre reggi-