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370 raimondo montecuccoli. [parte ii.]

il Tibisco. Infiniti disagi dovè sostenere nel viaggio per la peste che si mise ne’ soldati e nella famiglia stessa del generale, che si vide astretto, com’ei racconta, a supplire da sè all’ufficio di tanti che erano infermi.1 Ma di ciò non tenevasi conto alla corte di Vienna, dove, come l’Acerbotti scriveva il 22 di ottobre, era stata veduta di mal occhio la ritirata del Montecuccoli, quantunque non mancasse anche colà chi prendesse le difese di lui, attribuendola al difetto di vettovaglie. Ma forse a quest’epoca potrebbe riferirsi, secondo diremo, una lettera del Federici che avvertiva, come con un ordine segreto il ministro Porcia avesse imposto al Montecuccoli di levarsi dalla Transilvania. Non era questo però ciò che voleva il consiglio aulico di guerra, che al Montecuccoli, il quale era allora a Varosmart, comandò di avanzarsi e di dar battaglia ai turchi: singolar comando invero, dato a tanta distanza dai luoghi in cui doveva esser eseguito, e con sì scarsa conoscenza delle condizioni del generale che aveva a dar battaglia, e senza sapere se il turco avrebbe accettato la pugna offertagli, il che dicemmo già che non avrebbe fatto. Si restrinse il Montecuccoli a qualche mossa d’arme contro San Job che non fu potuto prendere, e altrove. A quest’epoca probabilmente riferir si dovrebbe ciò che il Freschot racconta nel suo Ristretto della Storia d’Ungheria, che cioè il Montecuccoli sorprese un corpo di 30,000 tartari, un terzo de’ quali sarebbe rimasto sul campo, cadendo in mano di lui il ricco bottino a cui que’ soldati facevano scorta; e per questo fatto, continua il Freschot, si fece la Porta a proporre la pace, che dall’imperatore venne rifiutata. Ma di ciò dubito assai, non trovandone altro ricordo; né parrà verosimile che l’imperatore, e più il suo ministro Porcia, fossero per ricusare allora proposte di pace. Vedremo anzi che le accettavano essi nell’anno successivo. Gli ungheri intanto, poichè videro tenersi inerti i turchi, con che momentanea-

  1. «I più intimi de' miei familiari, paggi, camerieri, mastro di stalla, cuochi, cappellano, segretario e simili nella medesima ora trapassarono.» (Aforismi riflessi alle pratiche delle ultime guerre d'Ungheria, edizione del Grassi, in nota a pag. 27, vol. II.)