Pagina:Rapisardi - Opere, I.djvu/17

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Peccati confessati 7

mai per l’appunto come ella accogliesse, o per esser più sincero, se ella avesse mai conosciuto il mio disperato amore; il certo è questo, che io sfogai la mia terribile passione in tutti i metri fin allora inventati, e che la stella de’ miei pensieri andò poco di poi a tramontare in un’alcova nuziale, e propriamente fra le braccia d’un legulejo. Jacopo Ortis mi disse: Ammàzzati. Ma Filippo mi gridò:

                                    Vivrai tu dunque,
          Mal tuo grado vivrai;

ed io, trovato molto più opportuno il secondo consiglio, mi rassegnai dolorosamente alla vita, mi condannai con severità inaudita al supplizio di vivere, vita natural durante.

Mi rivolsi allora all’Italia. Capisco che avrei dovuto pensarci prima, per esser fedele, se non altro, alle prime parole delle Ultime lettere e alle ultime frasi di Lorenzino in un vecchio dramma di quel Dumas, che, con un teatro come il suo sullo stomaco, aveva il coraggio di mettere in canzonella l’Alfieri; ma la cosa andò proprio nell’ordine sopraccennato; ed io prego la posterità, che aspetta a bocca aperta il mio nome, di non aggiungere nè levare una sillaba a ciò che scrivo io in queste pagine destinate a sfamare la sua legittima ed ansiosa curiosità. Mi rivolsi dunque all’Italia, ed urlai in chiave di lupo impubere:

       Ahi serva Italia di dolore ostello;

e desiderai con le visceri del senator Vincenzo Fi-