Pagina:Rapisardi - Opere, I.djvu/399

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     O sgomento o pietà dammi di questa
     Misera vita, che a tant’ira è segno;
     Anzi maggior di tutte ire mi rende
     E miglior di me stesso e più superbo.
     Ma qualor da lontan miro la stanza,
     Ove a me nota ed al dolor tu vivi,
     E rovesciar sul tuo capo infelice
     Sento il fiel di tant’alme e tanta parte
     Delle tempeste mie, con fiero istinto
     Guardo al viver mio vano, e spegner tutto
     Come vil face l’esser mio vorrei.
     Odi, Giselda, e non ti faccia inganno
     L’amor tuo santo, e la pietà c’hai molta
     De’ miei giorni infelici! Una secreta
     Tenebra di dolor gravita e pende
     Sul capo mio: qual essa sia, qual fonte
     Abbia il mio pianto e quali abissi il core,
     Nè il so, nè il cerco: una paura io sento
     Fredda, crudel ch’esser potria rimorso,
     Se delitti avess’io. Morta è la fede,
     Morta è la gioja in me: sorride e spera
     Altri ove io piango; un’incessante, occulta
     Smania mi caccia; dove i passi io volga
     Non trovo, e ciò che non è tedio o sdegno,
     Dentro all’anima mia diventa affanno.
     Per non segnato ciel, per mondi ignoti,