Pagina:Rapisardi - Opere, I.djvu/428

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     Il mio pietoso gelsomin, l’antico
     Confidente dei miei sogni, e la posa
     Con occulta pietà su’ miei capelli,
     Fra cui leggera e trepida intrecciossi
     Tante volte la tua mano, e sul fronte
     Scivolando freschissima, diffuse
     Mille brividi e fiamme entro al mio sangue.
Strani, oscuri così volgono i giorni
     Ch’io lontano da te vivo tra queste
     Luttuose pareti, ove non scherza
     Raggio di luce mai, dove non sorge
     Spirto alcuno di gioja; e vi si asside
     Tenebroso il silenzio, o vi si aggira
     Ululando una bruna ombra, che nulla
     Di vivente non ha, tranne il dolore.
     Povera madre mia! Di me sol uno
     Dolorando ella vive! Avria già chiusi,
     Senza l’amor che al viver mio consacra,
     I suoi vedovi giorni entro alla fossa,
     E raggiunto anzi tempo il cener santo
     Del mio padre infelice! Io la lasciai
     Derelitta e piangente; e alle tue braccia,
     Dell’universo immemore mi spinse
     Quella virtù che volge l’ago al polo,
     La fiamma agli astri e l’egra terra al sole.
     Povera madre mia! M’aspettò tanto,