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Camera dei Deputati — 88 — Senato della Repubblica


ix legislatura — disegni di legge e relazioni — documenti



La vicenda ha registrato un lungo e non facile iter processuale, concluso con sentenza passata in giudicato, sul cui esito non è qui il caso di entrare, perché ai fini che a noi interessano quel che più preme è porre l’accento su alcuni aspetti sicuramente documentati che suffragano l’ipotesi prospettata della collusione esistente tra esponenti della loggia con questa situazione eversiva, tale da consentire una valutazione attendibile del rilievo concreto che tali contatti ebbero a rivestire.

È così dato rilevare prima di tutto come molti dei personaggi che nel golpe ebbero un ruolo non secondario appartengano alla Loggia P2 o alla massoneria: così infatti troviamo tra gli attori di quella vicenda Vito Miceli, Duilio Fanali, Sandro Saccucci (da più fonti indicato come appartenente alla massoneria) assieme ad altri imputati del golpe quali Lo Vecchio, Casero, De Jorio, che tutti figurano nelle liste di Castiglion Fibocchi. Altre fonti poi riconducono alla massoneria sia Salvatore Drago, accusato di aver disegnato la pianta del Ministero dell’interno, sia il costruttore Remo Orlandini, che l’ispettore Santi11o, nella sua terza nota informativa, indica più specificamente come appartenente alla Laggia P2. Questo prima data di palese riscontra è suffragata da uheriori testimanianze, anche dacumentali, dalle quali si evince come ambienti massonici si fossero pasti in posizione di collateralità o fiancheggiamento con i gruppi che al Borghese facevano capo. Esplicita in questo senso la lettera di Gavino Matta (comunione di Piazza del Gesù) al principe Barghese: «Caro Comandante, debbo comunicarle che la Laggia non intende asseocndare la sua iniziativa, essendo per principio fondamentalmente contrada ai metodi violenti. Con la presente, pertanto, vengo autorizzato ad annullare ogni precedente intesa ...».

Questi elementi di indubbio riscontro fanno da cornice a situazioni di più puntuale incisività in ordine al ruolo che due personaggi quali Lido Gelli ed il Direttore del SID, Vito Miceli, ebbero a ricoprire durante e dopo il golpe. Come noto, punto cruciale di quella vicenda fu l’inopinato, per gli esecutori, arresto delle operazioni già avviate: Orlandini, stretto collaboratore del Borghese, dirà che non poca fatica gli costò correre ai ripari per fermare quei gruppi che già erano entrati in azione. Lo sconcerto provocato tra i congiurati da quella improvvisa inversione di marcia è del resto ben testimoniato dalla reazione di Sandro Saccucci, che poche settimane dopo ebbe ad esprimere l’auspicio che il responsabile venisse «preso», distinguendo nella vicenda la posizione dei golpisti da quella di «altre piccole manichette, più o meno in divisa». Numerose comunque sono le testimonianze dalle quali si evince la convinzione diffusa tra quanti avevano a vario titolo’ preso parte all’operazione «che qualcosa non aveva funzionato», o, come affermò Mario Rosa, stretto collaboratore di Borghese «... è la valvola di testa che non ha concorso a quello che daveva concorrere ...».

Recentemente alcune deposiziani di appartenenti agli ambienti dell’eversione nera cansentono di indirizzare l’attenzione direttamente su Licio Gelli in relazione al contrordine operativo che paralizzò l’azione insurrezianale. Si hanno infatti testimonianze secondo le