Pagina:Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia P2.pdf/99

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Camera dei Deputati — 91 — Senato della Repubblica


ix legislatura — disegni di legge e relazioni — documenti



cosa, dei fastidi, che io aveva tutto da perdere dalla vicenda, che i magistrati stavano tentando di sostituirsi alla Stato riempendo un vuoto di potere, che non si sapeva che cosa il giudice Tamburino valesse cercare, che non era obbligato a testimoniare ...».

Questa iniziativa del generale Palumbo viene a collocarsi in modo preciso a sostegno della già ricordata osservaziane del generaLe Dalla Chiesa sulla collaboraziane non particolarmente motivata degli ambienti della divisiane Pastrenga nell'azione che il generale conduceva contro il terrorismo. Va altresì rilevato chie l’atteggiamento del generale Palumbo riporta alla nostra attenzione il tipo di risposta che l’ammiraglia Casardi, direttore del SID, forniva ai giudici che indagavano sulla strage dell’Italicus quando si rivolsero al Servizio per attenere natizie su Licio Gelli, ottenendo un rinvio alle notizie apparse sulla stampa.

Sempre nel corso del 1974 il giudice Tamburino raccolse alcuni riferimenti testimoniali sul cosiddetto «SID parallelo», il cui procedimento si chiuse infine con la richiesta di archiviazione formulata dal Procuratore della Repubblica di Roma, accolta dal giudice istruttore in data 22 febbraia 1980. È di particolore interesse nel contesto di tali deposizioni quanto ebbe a dichiarare il generale Siro Rasseti, uscito nel 1974 dalla Loggia P2 in posizione polemica nei confronti di Licio Gelli. L’alto ufficiale in ordine al problema dell’esistenza di un’organizzazione parallela ai Servizi affermò: «.. .la mia esperienza mi consente di affermare che sarebbe assurdo che tutto ciò non esistesse ...» ed oncora «... a mia avviso l’organizzazione è tale e talmente vasta da avere capacità operative nel campo politico, militare, della finanza, dell’alta delinquenza organizzata ... )’. Questa descrizione letta oggi sulla base delle conoscenze acquisite in ordine alla loggia P2, non può non porsi per noi quale motivo di seria riflessione, soprattutto quando si pongo mente alla sua provenienza da parte di un elemento che conosceva la loggia direttamente dall’interno e che professionalmente si occupava di servizi di informazione.

Passando ad altro argomento di ben più impegnativo rilievo, ricordiamo che i gruppi estremistici toscani compiono parecchi degli attentati (specialmente ai treni) che funestarono l’Italia tra il 1969 e il 1975. Il generale Bittoni (P2), comandante la brigata dei Carabinieri di Firenze, iniziò a svolgere indagini, cercando di dare impulso all’inchiesta e di coordinare le ricerche dei comandi di Perugia e di Arezzo. L’impegno degli ufficiali aretini si rivelò, peraltoa, del tutta insufficiente, came ebbe a lamentare lo s1essa Bittoni e come risulta dalle deposizioni dei sottufficiali.

Rilevato come ben due degli ufficiali superiori del comando di Arezzo incaricati delle indagini facessero parte della Loggia P2 (uno di essi parlò della relativa iscrizione come di una «necessità») e che Gelli rivolse al generale Bittoni discorsi sufficientemente equivaci da provocarne una accesa reazione, non sembra azzardato mettere in rapporto di causa ed effetto l’infiltraziane della Loggia nell’Arma e l’insufficienza dell’indagine. A questo si aggiunga che analoga situazione si verificava per la questura della stessa città, essendosi po-