Pagina:Ricciarelli - Su e giù sulla piazza di Pescia, Cipriani, Pescia, 1913.djvu/24

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Ehi! Signor macellaro a che gioco si gioca?

— Son da voi.

Se si desta la padrona e non son tornata da far la spesa, (quella caca rabbia) subissa il mondo! A far toilette ci mette un’eternità e per me son tre ore d’agonia! Se quel muso sudicio di sua figlia si mamaritasse, povero sposo! ha idee grandi e borsa da cappuccini! Quel povero marito inciderebbe sulla scatola del tabacco: Mi pento e mi dolgo del santo matrimonio. G’è quei povero suo padre è sempre pensieroso per quella figlia, ed essa è tutta nastri e trine e poco è propensa per il suo babbo quasi cieco. L’altro giorno lo visitò il dottore e gli disse: Adesso ci vedete meglio?

— 0 vendi ciccia morta?

Donnina, non siate tanto inquieta, a una alla volta vi servo tutte.

— Ma è due ore.

Che brontolate; non avete da rifasciare la creatura.

— Non ci mancherebbe altro! E quel brontolone di mio marito che non intende ragione.

Il santo matrimonio dovrebbe essere a nodo scorsoio e non una cavezza al collo: omini.... omini.... la vostra divisa è la parola canaglia! Lo sapete donnine l’ultimo bollettino sanitario?

(Tutte in coro) No! Calamità a cascare!

Un vecchio cuoco prende la parola: sentiamo quale disgrazia funesta il nostro paese!

Il colera a Livorno! Le mortalità portan sempre disgrazie specialmente per i poveri becchini! e anche i buonomini (come i monatti della peste di Milano) ne vanno al disotto!

Cosa desidera il Signore.

— Una coda di bue.