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— Cosa vuoi che ti dica!
La nota ibrica della miseria mi fa spavento, ma quando siamo innamorati, meglio la povertà che trovarsi a fianco un lumaone di marito di quella valanga di consorte!
O il tuo cicisbeo, Gigina, t’è sempre fedele?
Così... così: brontola su capricci della moda e trova da ridire sull’aggetto delle grandi tese del cappello e la berretta tanto aderente al capo; le dice cuffia per nascondere la tigna.
Osserva le sottane troppo strette e corte, e quando cambierà la moda, troppo larghe e lunghe, gli estremi son sempre ridicoli in se stessi.
Insomma, tutto critica... tutto è esagerato... anche le mie carezze le dice arpioni per accalappiare un giovane e farne un marito.
L’altro giorno lo beccai a discorrere con quella civetta di Rosina; appena mi vide mi squadrò per interpretare i miei pensieri... (tristi, amica) e il suo volto si turbò, mangiai la foglia, ed egli con un complimento, secco secco se la svignò.
Brontolai fra i denti:
«A quattr’occhi ci rivedremo». Ed egli sfuggì sempre l’occasione: non ci fu caso di trovarmi con esso... scansò sempre il quattro rassegnandomi al sei cogli occhi della mamma. Se i dispiaceri arrivassero a quest’ ora sarei morta di crepacuore!
— I giovanotti, quante scappellature... tanto per metterci in ridicolo!
— Li ho uditi io sulla farmacia Palamidessi: «Saluto le belle ragazze!» e dietro alle spalle vanità e capriccio.
— Come i poveri...