vertà di sei milioni di stipendo, e possiede nelle sue casse la bellezza di quattrocento milioni in oro e in argento, e conserva sotto una campanella di vetro un biglietto che vale la giuggiola di venticinque milioni. Entrai nella grande sala dove si fanno i pagamenti. Cento impiegati, affacciati a cento finestrini, distribuiscono con una rapidità da prestigiatori argento ed oro a rotoli, a manate, a palettate, e i creditori empiono in furia tasche
St. James-Palast (Palazzo di S. Giacomo).
e sacchetti, e scappano come ladri gettando intorno delle occhiate di diffidenza. Bisogna vedere i lampi, i barlumi di sorriso, le contrazioni leggerissime delle sopracciglia e delle labbra, e i mille moti espressivissimi ma inesprimibili dei volti della gente, alla vista di quell’oro. E bisogna vedere quell’oro come sguiscia, scappa, sfolgora, e manda dei tintinni che sembran risa di allegrezza, e fa ogni sorta di civetteria, che sembra animato e maligno. Anch’io, dinanzi a quello spettacolo, provai per la prima