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di londra. 87

buoni constabili!... con quanta intelligenza ci dirigevano attraverso viuzze impure, cortili oscuri, androni che sembravano senza uscita!... Si capiva che la nostra vita era loro affidata. Ed infatti senza la loro continua sorveglianza non solamente saremmo stati svaligiati perfino della camicia (domando perdono agli Inglesi di pronunciare questa parola, che qui è di circostanza), ma fors’anche maltrattati, se avessimo voluto difenderci. Le faccie che incontravamo si erano come rabbuiate. Abbeverati d’alcool, i pezzenti di cui percorrevamo le dimore, tornarono a casa a tastoni. Alcuni si coricavano lungi distesi a’ piedi d’un muro, per non più rialzarsi fino al mattino; altri si lasciavano andare sopra un mucchio d’immondizie, dove scomparivano per metà; altri ancora affondavano nel fango o sdrucciolavano nel ruscello della via, la cui acqua fresca, bagnando loro la faccia e le membra, li svegliava un momento; aprivano allora gli occhi incerti ed interpellavano i passanti in una lingua inintelligibile. Non tutti i passeggianti erano briachi; più d’uno di questi notturni lavoranti, dal temperamento di ferro, resisteva agli effetti d’una libazione più che prolungata. Gli uni sfilavano in drappelli rumorosi cantando delle canzoni oscene con quella voce così poco musicale ch’è propria della maggior parte degli Inglesi. Gli altri nascosti nei vani delle porte, parlavano a voce bassa, e sembravano progettare qualche brutto affare. All’avvicinarsi della polizia essi tacevano improvvisamente e fingevano di passeggiare.

Fra gli urti di tutta questa gente lurida arrivammo alla più sporca delle viuzze fino allora percorsa. Per una porta spalancata penetrammo in una topaia, le cui tavole sconnesse lasciavano passare liberamente l’aria. Non una lampada per illuminare la scala, sicchè ci prendemmo per un lembo dei nostri abiti e seguimmo il primo policemen, che rischiarato dalla sua lanterna apriva la marcia. Al primo piano in un bugigattolo ignobile colla porta socchiusa, due uomini erano coricati nello