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aquila... (bacia l’aquila)... Cara aquila! Possano tutti i prodi sentire in cuor loro questo bacio. Addio miei figliuoti! I miei voti vi accompagneranno sempre. Serbate la mia memoria!»

Il 27 aprile l’imperatore spodestato giungeva sotto misero travestimento fra mezzo ai massacri della Provenza a Frejus, ribattendo la strada de suoi tempi felici. L’aveva percorsa quale trionfatore ritornando dall’Egitto, la rifaceva ora frettolosamente travestito da postiglione, da domestico in livrea.

Stavano in quel porto pronti alla partenza due legni, inglese l’uno francese l’altro. Napoleone diede la preferenza alla nave inglese. Il 5 maggio approdava a Portoferraio, sette anni dopo, in quello stesso giorno, doveva morire in un’isola lontana dell’Oceano, della quale allora ignorava pressochè il nome.

II.

Erano le sei della sera; una giornata stupenda di primavera. La popolazione dell’Elba, suoi sudditi, stavano sulle calate. Poveri uomini in ruvido saio di lana, col beretto frigio in mano, stavano aspettando sbalorditi, avidi e bramosi di contemplare il grande uomo che aveva comandato al mondo distribuiti regni e corone colla stessa facilità colla quale gli altri principi regalano tabacchiere e conferiscono ordini cavallereschi; diventato ora loro signore, principe dell’Elba. Una banda musicale suonava sul porto, come ad uno spettacolo. Napoleone, malinconico, passò la notte a bordo. Quanto gli dovette parere ristretto quel golfo, le cui rupi lo tenevano quasi imprigionato!

Nello scendere il mattino dopo a terra, fu ricevuto dal generale Dalesme fino a quel punto comandante dell’isola. Gli aveva dato annuncio del suo arrivo, e scrittogli: «Generale, ho sacrificato i miei diritti alla felicità della patria, riservandomi il possesso e la sovranità dell’isola d’Elba;