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confondeva con quella degli scogli, in guisa che si sarebbe detto fossero continuazione organica, appendice, di quelli.
Scendemmo di cavallo in un punto molto pittorico, e ci sdraiammo sull’erba. Crescevano attorno a noi piante di more selvatiche, i cui frutti maturi ci somministrarono cibo per una refezione campestre. In vicinanza avevamo un verde stagno circondato di giunghi, ed in parte ricoperto di piante selvatiche. La vista di questi luoghi al lume di luna, deve propriamente essere qualcosa di magico, di poetico.
Finalmente la foresta si aprì, in direzione fra mezzodì e ponente; arrivammo all’altro lato del monte, e tutto ad un tratto si aprì davanti, ai nostri occhi una vista meravigliosa. Il nostro sguardo abbracciava tutta la campagna marittima, le paludi pontine, una vasta pianura con infinita varietà di colori, e di tinte; più in là scorgevansi il mare indorato dai raggi del sole, l’isola di Ponza perduta nei vapori, il capo di Circe colle sue forme pronunciate, e colle sue rimembranze poetiche; la torre solitaria di Astura, la linea Pia, il castello di Sermoneta; tutto quel panorama stava sotto i nostri piedi! E tutto ciò ci compariva davanti all’improvviso, tutto ad un tratto, in guisa che non sarebbe possibile descrivere con parole la sorpresa che provammo. Mi si era vantato molto in Roma la bellezza di quel colpo d’occhio inaspetatto, repentino, ma desso superò di gran lunga la mia aspettazione, e non posso che raccomandarlo vivamente quale spettacolo raro, a tutti coloro i quali viaggiano nelle Romagne.
Dopo sei ore di cavallo, arrivammo alla piccola città di Norma. Sorge questa cupa sepolcralmente quieta ma pulita in cima di un colle abbastanza alto, in parecchi punti tagliato a picco; e venne fabbricata ad epoca incerta del medio evo, in vicinanza ai ruderi ciclopici dell’antica Norba. Norba, Norma, Ninfa, Cori, Sermoneta, sono i nomi poetici e melodiosi che in questi dintorni si sentono risuonare ad ogni istante, e che riportano il pensiero ai tempi favolosi della mitologia.