Pagina:Ricordi storici e pittorici d'Italia.djvu/50

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solo del locale a far comprendere che qui non si tratta nè di Talmud, nè della Kabbala, nè della filosofia giudaica imperocchè il Ghetto di Roma si può dire un secondo Gosen della schiavitù di Faraone, e la sua storia quella della costanza, pressochè incredibile, di una piccola comunità di schiavi, nel sofferire di generazione in generazione la più dura e la più continuata oppressione.

Ora quando si consideri essere Roma quella dove questo popolo si mantiene da oltre mille ottocento anni, la sua costanza parrà ancora più singolare; e si durerà fatica a comprendere come una razza umana cotanto maltrattata, ad onta di nuove aggregazioni di quando in quando, abbia potuto riprodursi e durare in quell’angolo di una grande città, in quell’aria appestata, serbandosi sempre la stessa, quasi avesse vita particolare, e tutta sua propria. Imperocchè fin dai tempi di Pompeo il grande, avevano gli Ebrei stanza in Roma. Cacciati parecchie volte dalle città sotto i primi imperatori, vi fecero sempre ritorno, ed ai tempi di Tito si stabilirono dove sono tuttora, nel luogo il più pericoloso del mondo per essi, sotto gli occhi prima di quei Romani i quali avevano distrutta Gerusalemme, e più tardi del Papa rappresentante di quel Cristo che dessi avevano posto in croce. Fin dai tempi di Pompeo erano fatti segno a ludibrio ed a disprezzo, e finalmente radunati in un Ghetto quale tribù impura di Paria, si concentrarono in un angusto spazio, e vi durarono, non più esposti alle fiere come ai tempi di Claudio, ma ai mali trattamenti dei Cristiani, rimanendo immutabili per il corso di secoli e secoli nera ed oscura pagina negli annali della umanità cristiana! Dessi vivevano privi di speranza, però speravano, secondo il carattere del popolo d’Israello, al quale i profeti promettevano il Messia. Impotenti ad entrare in lotta aperta coi loro nemici, si trincerarono nel triste e possente appoggio della miseria, dell’abitudine, e della tenacità di propositi tutte proprie della razza ebrea. La forza nel soffrire fu tanto grande negli schiavi ebrei, e tanta maggiore di tutte le altre razze